Lo sviluppo dimenticato (M.Meti) v.anche qui Intorno all'attuale crisi economica tutto l'Occidente ha sviluppato un dibattito sugli ammortizzatori, le compensazioni, l'assistenzialismo, le garanzie, gli aiuti. In Italia il dibattito è come altrove, ma con l'aggiunta di un manto di retorica mielosa. Il paradigma generalmente accettato attribuisce la causa della crisi ai cattivi finanzieri e alla carenza di regole. La soluzione viene identificata in un massiccio intervento statale e in un possibile (futuro) cambiamento delle regole finanziarie. La retorica di regime tamburella sulla frase:"usciremo presto dalla crisi". L'ottimismo è sostenuto da continui servizi televisivi che mostrano il 20% o anche 30% degli italiani che continuano a godersi la vita. Non c'è mai stata crisi
dalla quale l'umanità non sia uscita: dal diluvio universale
alla seconda guerra mondiale. Ed ogni crisi ha registrato una minoranza
che ci ha guadagnato sopra. La prima domanda, che pochi si fanno,
è: "chi è stato causa e complice dello sviluppo
della crisi?" Ma la domanda principale è:"quanto costerà, in termini umani ed economici, l'uscita della crisi"? Se la situazione non vedrà un cambiamento drastico di rotta, non è infondata l'ipotesi di una riduzione del PIL italiano del 20% o anche 30%, e di una disoccupazione a due cifre percentuali. Perchè? Perchè gli attuali piani di intervento dei governi servono ad assistere i moribondi, non a guarirli. Dare più cassa integrazione è un bene, ma non serve ad aumentare i posti di lavoro. Dare maggiori prestiti bancari alle imprese, serve a protrarre l'agonìa ma non ad aumentari gli ordinativi. Quando la Fiat annuncia che produrrà 6 milioni di auto all'anno, nessuno si chiede chi le comprerà? La vera crisi è nata ben prima dell'esplosione finanziaria conclamata: è iniziata quando le piccole e mdie imprese hanno visto sparire gli ordini, e i posti di lavoro veri sono stati sostituiti da quelli finti del precariato da call center. In una parola: con la globalizzazione. Alla quale l'Occidente, e l'Italia in particolare, non ha risposto con una conversione del sistema economico-produttivo, ma con la passività o i palliativi assistenziali. Il problema è che l'assistenzialismo può vivere solo a fianco della ricchezza, e dimimuirà insieme a questa. Quando il Pil scenderà del 10%, il prelievo fiscale scenderà del 15%; quando il primo diminuirà del 20% il secondo diminuirà del 30%. Da quanto tempo la classe politica non discute di "sviluppo"? Qual è il piano italiano di riconversione e sviluppo del sistema economico-produttivo? E' dei primi anni 70 la nascita di Internet, e del 1989 la caduta del muro di Berlino. Questi due fatti hanno in 20 anni dato alla luce la globalizzazione e l'immaterialesimo. E in quei vent'anni l'Italia pensava solo alla "Milano da bere". Dagli anni novanta ad oggi, altri vent'anni buttati senza alcuna discussione sullo sviluppo e sul futuro. La domanda ora è:"cosa ci farà uscire dalla crisi?". Globalizzazione e immaterialesimo sono trends ormai inarrestabili, che caratterizzeranno il XXI secolo. Uscire dalla crisi significa convertire il sistema economico-produttivo nelle direzioni indicate da questi due trends. Naturalmente occorrono tutti gli ammortizzatori possibili per rendere meno drammatica la transizione, ma ciò che è ineludibile è progettare il futuro a partire da uno scenario globalizzato e immateriale. L'idea centrale è l'abbandono progressivo al suo declino di tutta l'industria manufatturiera non avanzata, e la concentrazione di ogni sforzo sul comparto immateriale. Per esempio, invece di dare i soldi alla Fiat o all'Alitalia diamoli al turismo; invece di spendere per il ponte sullo stretto di Messina, spendiamo per un grande piano idrogeologico; invece di mantenere province, comunità montane e altri organismi parassitari, diamo più soldi alla scuola e all'università.
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